Chi sarà il dopo Riina? Chi sa comanderà


Morto un Papa se ne fa un altro. Così quando muore un Capo Mafioso, quella cupola che per certi versi somiglia tantissimo a quella romana del Sacro Concilio, rielegge il successore alla luce dell’attualità, capacità di governo e carisma. Totò Riina è stato il capo incontrastato di Cosa Nostra per oltre 50 anni, durante i quali ha dato prova della sua determinazione, capacità di intessere e mantenere rapporti con lo Stato, Servizi Segreti e con le altre Mafie, ma soprattutto di saper capitalizzare la conoscenza di fatti ignoti alle cronache. Fatti indicibili di cui lo Stato si è macchiato e che se trapelassero provocherebbero la caduta dei Governi di molte Nazioni, oltre quello italiano.
Chi sarà il successore di Riina? Forse all’interno della Cupola le idee le avranno ben chiare, dal momento che la morte di Totò era annunciata da tempo, ma noi ne verremo a conoscenza tra qualche lustro (forse).
Eleggere un Capo Mafioso deve essere qualcosa di particolarmente sofisticato e complesso. Si elegge il più forte, ma in tempi moderni dove la forza non è sinonimo di omicidi efferati, si tiene conto di altro. Non basta essere un killer spietato per essere un capo. Non contano gli omicidi commessi, né la fantasia con la quale vengono serviti (scioglimento nell’acido, teste mozzate, cementificazione), che certo avranno un loro peso nel bollare l’intransigenza e la totale assenza di pietà o perdono, ma il numero di altrui scheletri da armadio che si posseggono. Siamo lontani dai tempi del summit all’Hotel delle Palme e probabilmente la nuova figura dirigenziale è già chiara alle cosche, ma per farci un’idea dobbiamo prendere spunto da quel poco che sappiamo in materia. Un’immagine abbastanza fedele di quello che è la Mafia ci viene riportata dallo sceneggiato televisivo “La Piovra”. Tra i protagonisti c’era il Puparo, il capo dei capi, colui al quale rispondevano tutte le famiglie mafiose. C’era il killer e l’esercito di manovalanza, poi c’era Tano Cariddi, la mente, il traghettatore, colui che con la sua cultura avrebbe trascinato la vecchia Mafia di pecorari all’assalto del millennio, delle banche, del potere vero. Ma in cima a tutti vi era un personaggio evanescente, sconosciuto ai più, ufficialmente un antiquario collezionista ma nella realtà colui che grazie alla sua rete di informazioni e gestendo magistralmente l’arte del compromesso, imprimeva le direttive sia alla politica che alla Mafia. L’intoccabile Antonio Espinosa, una figura che ufficialmente non esisteva nemmeno ma che decideva le mosse da compiere passando l’incarico al puparo che avrebbe tirato i fili dei burattini giusti, quelli che all’occorrenza erano deputati al lavoro sporco. L’intreccio tra finanza, potere politico e Mafia aveva in Espinosa il coordinatore, era lui il vero capo e non solo della Mafia. Si autodefiniva “Collezionista di Anime”, cioè custodiva e incrementava interi dossier riguardanti atti o episodi criminali o quanto meno sporchi, della vita di ogni politico, industriale, manager, che in qualche modo influenzavano l’andamento socio politico del Paese. Ogni pezzo della sua collezione consisteva nelle prove di una macchia sul passato di ogni personaggio pubblico, atti inconfessabili grazie ai quali ogni pezzo della sua collezione, magari ci aveva costruito la propria carriera, la propria fortuna. Fantasmi del passato che sarebbero potuti tornare e disgregare la figura costruita in anni di onorata carriera ma che senza il “peccato” che Espinosa custodiva, non sarebbero mai decollati verso le alte sfere della società.
Questo era Espinosa. Il suo immenso potere era basato sul ricatto, sul compromesso e ogni sua iniziativa doveva per forza di cose essere assecondata, pena la distruzione pubblica del personaggio in oggetto.
E questo era anche Totò Riina. Custode e tesoriere di 50 anni di democrazia drogata da episodi troppo spesso ricondotti alla Mafia e al Terrorismo, con la fretta di chi ha tutti gli interessi ad archiviare tutto ciò che potenzialmente potrebbe riaprire scenari riguardanti un passato troppo scomodo da sostenere. Che Riina non avrebbe mai parlato di connivenze politiche lo sapevano anche i politici stessi, che su un giuramento su un santino che brucia col sangue dell’affiliato, ci contavano e ci avrebbero scommesso. Ma quando le cimici nel carcere cominciarono a rendere pubblici i dialoghi tra lui e Alberto Lorusso, capo della Sacra Corona Unita detenuto anch’egli in regime del 41 bis, col quale Totò si intratteneva nelle ore di aria, Reina fu trasferito in tutto segreto all’Ospedale di Parma, dove fu tenuto in isolamento fino alla morte. Una morte che porta sollievo a molti, alte cariche dello Stato, capitani d’azienda, leaders politici o personaggi che rivestono le tre funzioni insieme. Molti di questi ancora sfogliavano la margherita per il quesito “Parla o non parla”, quando la lieta notizia è stata divulgata. Tranquilli, Totò Riina non ha parlato. Non ha voluto, non lo ha ritenuto opportuno e certamente molti segreti li avrà portati con sé nella tomba senza rivelarli nemmeno ai propri figli. Ora è già caccia al successore, a colui che oltre a lui custodisce la cronistoria degli ultimi anni di questo Paese marcio e corrotto. Riina era tutt’altro che uno sprovveduto, avrà deciso quando ancora era in vita a chi affidare il potere per la successione. Lo Stato ha già provveduto a delegittimare chi con le sue conoscenze dei fatti avrebbe potuto danneggiare l’immagine istituzionale o di molti Senatori tutt’oggi in vita. Bruno Contrada è il classico esempio di come uccidere un personaggio scomodo senza togliergli la vita. Con Massimo Ciancimino è stato più facile data la costituzionale mancanza di materia grigia del soggetto, forse una fortuna per lui. Personaggi legati alle stragi italiane sono ancora oggi in vita e godono di alcuni privilegi, penso a Cesare Battisti felicemente accasato in Brasile e a Massimo Carminati, al centro di un prosperoso commercio di monnezza, immigrati e appalti vari fino all’incidente del 2015, quando viene condannato a 20 anni.
Ma dal momento che lo Stato non ha mai smesso di avvalersi della Mafia per agevolare alcuni eventi, non ci sarà bisogno di pescare tra gli ultra settantenni per eleggere il successore alla cupola mafiosa. Del resto il testimone lo avrà già passato  lo stesso Totò Riina a colui che ritiene più adatto all’investitura.

Brett

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