Eravamo Emigranti, accogliamo Migranti, saremo Nomadi.



Qualcuno si ostina a paragonare l'attuale deportazione dall' Africa agli italiani che a fine 800 e durante l'intermezzo tra le due guerre furono "ACCOLTI" dai nostri Fratelli Americani. Anche quella fu una deportazione di massa perchè l'America era cresciuta, doveva costruire le infrastrutture e il territorio era
enorme. Aveva bisogno di mani forti e operose da impiegare in lavori pesanti di costruzione dei grattacieli piuttosto che delle ferrovie o nelle miniere. Gli Italiani furono deportati volontari, costretti dalla fame a raggiungere la terra promessa per essere reclutati allo svolgimento di lavori pericolosi e massacranti per pochi dollari. Avevano infatti poche pretese i disperati che raggiungevano la Terra Promessa a bordo dei bastimenti, stipati come bestie, con le tasche vuote, gli occhi gonfi di lacrime di paura e di incertezza, ma con una valigia di cartone piena di sogni. Era l’era della schiavitù 2.0.
Gli americani in questo sono sempre stati maestri e la deportazione di semischiavi all’epoca sembrò un atto di clemenza, di apertura ad un popolo al quale nulla dovevano e del quale stavano accollandosi gli oneri della presa in carico con gli onori della cronaca, già all’epoca da essi stessi controllata.
Gli americani sapevano e sanno come si fanno le deportazioni. I poveri emigranti una volta giunti nel Nuovo Continente , prima di calpestare il suolo americano venivano tenuti un’ulteriore settimana in quarantena ad Ellis Island, un isolotto artificiale costruito con i detriti ricavati dalla costruzione della metropolitana, al largo di New York, proprio davanti alla Statua della Libertà. Qui oltre ad essere tenuti in osservazione per 
eventuali affezioni, venivano sottoposti a profilassi che prevedevano finanche la sterilizzazione tramite il trattamento con gas disinfettanti, quasi come nei Lager Nazisti. Quasi fossero animali venivano controllati dalla testa ai piedi, interrogati, e selezionati per idoneità fisica e mentale. Tutti coloro che risultavano malati, cagionevoli o dal fisico esile, venivano direttamente rimpatriati, anche a costo di dividere le famiglie.
Gli USA avevano bisogno di braccia e quando gli USA vogliono qualcosa la prendono. Sfruttati all’epoca come bestie ma col tempo ben integrati, quasi immemori di tutto questo, gli italo-americani continuano a benedire “Mamma America”, la Terra che li ha benignamente “Accolti”.
Quando un Paese ha bisogno di semi-schiavi si comporta più o meno così, diversamente è lo stesso Paese ospitante che si offre in schiavitù all’invasore. Non c’è una via di mezzo, se non quello che stiamo vivendo oggi noi europei, soprattutto noi italiani.
La deportazione 3.0, se così possiamo chiamarla, organizzata sempre dagli USA ma questa volta con scopi diversi. L’Italia non ha bisogno di braccia, non può permettersi nemmeno quelle italiane, ma i nostri fratelli americani, ai quali dobbiamo devozione eterna per avere accolto i nostri emigranti e per averci colonizzato, vogliono il flusso dall’ Africa. Come fu per i nostri connazionali, anche oggi arrivano da noi solo giovani maschi palestrati, per buona pace dei Cinesi che nel frattempo si sono impossessati di mezza Africa e che non gradiscono maschi guerrieri sul territorio. Ovviamente senza 
passare da una nostrana Ellis Island, le nostre si chiamano CARA e Centri di Accoglienza, al massimo “Lampedusa”. Queste braccia forti servono all’America per creare disordine, competizione, svalutazione del lavoro e del territorio, guerre tra poveri e tra classi, tra bianchi e neri alla fine. Noi che non siamo mai stati razzisti, alla fine lo diventeremo. Esattamente come quando siamo in coda in attesa del nostro turno che non arriva mai e siamo insensatamente infastiditi dalla persona che ci sta direttamente davanti e che vorremmo a tutti i costi eliminare, allo stesso modo odieremo i neri non in quanto tali ma perché li vedremo come i nostri invasori, il nemico, l’unico problema.
In realtà siamo entrambi vittime dello stesso Paese Squalo. Noi e gli africani invasori passivi, vivremo a breve una competizione che ci porterà ad una vera guerra razziale. La guerra svaluterà ulteriormente il territorio che a quel punto sarà preda delle più feroci speculazioni. L’America sa bene quanto siano rognosi i neri, anche loro hanno sempre avuto problemi con gli immigrati di colore che poi sono i discendenti degli schiavi del 600. Per indole sono rissosi, violenti e faticano a gestire la rabbia. Sono incazzati perché scoprono che l’Europa e l’Italia non sono quello che gli avevano promesso, per giunta quelli che arrivano sono ignoranti o semi-acculturati e questo condisce alla grande il mix esplosivo. Si innescherà una guerra stile "Apharteid" in seguito alla quale perderemo anche la nostra identità, la nostra Terra, rischiando di diventare Nomadi.
Un’Italia svuotata dall’interno e sottoposta a purghe razziali. Già privata della classe dirigente politica, sostituita da un branco di cialtroni ignoranti, asserviti e cooptati che scrivono leggi sotto dettatura dei loro padroni e che pur volendo, nemmeno saprebbero come condurre il Paese fuori dalla tempesta. Abbiamo scimmiottato le abitudini americane con fierezza e spirito di innovazione, ne abbiamo adottato lo slang stuprando la lingua di Dante pur di risultare simili a loro, ma l’arte dell’intreccio politico-economico-militare, l’unico mestiere che l’America sappia fare, non lo abbiamo imparato. O per meglio dire lo abbiamo appreso ma persistiamo nell’interpretare il ruolo dei subalterni. Per comodità, corte vedute e un terreno di coltura inquinato, mai sapremo come comportarci davanti alle sfide importanti, rimandiamo sempre il tutto a quando saremo grandi e intanto ci pensa Mammà. Chi saprebbe farlo viene tenuto lontano dalla stanza dei bottoni e chi sapeva farlo oggi non c’è più. Da buoni italiani aspettiamo un qualunque Dio che ci salvi. Che si chiami Cristo, Buddah o Allah per noi non fa differenza, l’importante è ricevere la pagnotta quotidiana poiché un assalto ai forni sarebbe troppo scomodo, troppo impegnativo, correremmo il rischio di svegliarci.

Brett Sinclair

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