La maledizione della Coppa Rimet
Le peripezie di questo trofeo realizzato da Abel La Fleur, orafo parigino della scuola di Cartier, iniziano nel 1930, anno della prima edizione dei campionati mondiali di calcio. La coppa Rimet viaggia verso Montevideo via mare, a bordo del piroscafo italiano Conte Grande, poiché l’Uruguay fu sorteggiata per ospitare l’evento sportivo e dove verrà poi trattenuta per i successivi 4 anni, risultando l’Uruguay vincitrice del torneo. Dal 34 al 38 passò a Roma poiché la vincitrice della seconda edizione fu proprio l’Italia, ai mondiali di Parigi. Qui sarebbe rimasta fino al 42, anno della terza edizione. Nel frattempo scoppia la guerra e Hitler ne ordina il sequestro, probabilmente non per il valore intrinseco degli 1,8 chili di oro, che pure sarebbero stati utili alla Germania del periodo, ma per il simbolo che rappresentava, il sacro Graal del calcio. E’ risaputa la passione del Fhurer per oggetti e talismani appartenenti alle più disparate categorie. L’ingegner Ottorino Barassi, segretario della Federcalcio ai tempi, il depositario temporaneo della coppa nel periodo di guerra, la custodiva presso la propria abitazione. Quando alla sua porta bussarono i soldati della Gestapo per sequestrarla, il Barassi ebbe il sangue freddo di negarne il possesso, dicendo che il prezioso oggetto si trovasse a Roma. Ovviamente i gendarmi perquisirono l’abitazione e durante l’accurata perlustrazione il Barassi passò l’oggetto dal balcone al suo vicino, il Generale Vaccaro che subito la ripose in uno scatolo delle scarpe del figlio e la nascose sotto al letto. I tedeschi bussarono anche a casa del vicino Generale per sincerarsi che la coppa effettivamente al momento non si trovasse in quello stabile. Costui li ricevette nel suo salotto stracolmo di oggetti preziosi, statuine, medaglie e anche trofei sportivi di natura diversa. La mancanza dell’oggetto ricercato tra i tanti in mostra, dovette convincere i soldati tedeschi che effettivamente nemmeno il Generale Vaccaro fosse in possesso della coppa Rimet, ma alla vista di una pergamena firmata da Hermann Gorig, i militari si dileguarono all’istante scusandosi per l’importuna visita.
Quello fu il primo episodio in cui la coppa Rimet rischiò di essere trafugata ma ve ne furono altri.
A Marzo del 1966, anno dei mondiali di Inghilterra, il trofeo venne esposto alla Westminster Hall di Londra in occasione di una mostra di francobolli tematici sportivi del valore di 6 miliardi di lire di allora. In quella occasione il trofeo venne trafugato, e nei giorni successivi a Lancaster Gate sede della Football Association, arrivò una lettera anonima: al suo interno, la proposta per una trattativa. Tutti tirarono un respiro di sollievo, la coppa non era stata fusa, a riprova il ricattatore aggiunse la parte superiore che era amovibile. Pronti a trattare senza rinunciare alle dovute investigazioni, non avendo tempo per commissionarne una identica, si stava decidendo per il da farsi quando inaspettatamente la coppa Rimet rispunta, avvolta in un giornale nei pressi di una cabina telefonica. A ritrovarla fu Pickles, un cagnolino intento a cercare un oggetto da inondare di pipì, di proprietà di un certo David Corbett. L’onore dell’Inghilterra era salvo. La coppa fu riportata alla mostra, tra i francobolli.
In quel furto troppe cose non quadrarono. Perché il ladro, una volta guadagnato l’accesso al sito si impossessa solo della coppa tralasciando i francobolli che avevano un valore infinitamente superiore? Scotland Yard arrestò un portuale indiziato del furto ma qualche giorno dopo qualcuno pagò la cauzione e fu liberato. Chi pagò la cauzione? E soprattutto perché lasciare l’oggetto in strada col rischio che qualcuno lo buttasse via scambiandolo per spazzatura, quando la federazione inglese avrebbe anche pagato il ricatto? Sempre che la cosa sia andata così, che David Corbett, l’avesse realmente trovata per strada mentre era col cagnolino.
Nel 1970 diviene di proprietà del Brasile come da regolamento, avendo vinto i mondiali per tre volte. Lì viene messa a fare bella mostra negli uffici della federazione, fino al 19 Dicembre 1983, quando dei ladri professionisti brasiliani, dopo aver stordito il guardiano, si introdussero negli uffici per rubarla nuovamente. Si trattò dell’opera di professionisti ben noti alle forze dell’ordine: Sergio Pereira Alves detto Peralta , un ex dipendente della federazione, Francisco José Rocha Rivera detto Chico Barbudo, un ex poliziotto privato specializzato nel traffico di oro, José Luis Rivera, detto Luiz Bigode (baffuto), un decoratore. I tre decisero di fonderla, rivolgendosi a José Carlos Hernandez, commerciante di origine argentina in affari con Barbudo.
Nonostante costui possedesse un’attezzatura atta a trasformare in lingotti una quantità massima di 250 grammi di oro, e che dunque l’operazione richiese molto più tempo del previsto, qualche giorno dopo la Polizia dichiarò che la coppa Rimet era stata definitivamente trasformata in lingotti e venduta tramite i canali malavitosi, per un ricavo di 15.500 $. Il fatto fu riportato agli inquirenti da Antonio Setta, un quinto uomo che però si rifiutò di collaborare.
Quando con questi fatti sembra conclusa la vicenda Rimet, si aprono degli interrogativi ancora più intriganti. All’epoca della scomparsa di Londra, la confederazione ne commissionò una copia alla Eastman Kodak, impiegando 1,8 Chili di oro e bronzo, ma non fu mai immessa nel circuito. Alla morte di George Bird autore della copia, i familiari la inserirono in un catalogo d’asta alla Sotheby’s, descritta come replica e stimata 20/30.000 Sterline. Il prezzo venne ritenuto esoso per una replica e non fu venduta per circa un decennio. In seguito al furto brasiliano e alla luce del giallo londinese, la copia della Sotheby’s fu creduta consistente nell’originale e venduta all’asta per un valore di 254.500 sterline e vinta dalla FIFA, che se la disputò con la Federazione Calcistica Brasiliana. Fu poi verificato che il trofeo era effettivamente una copia e la FIFA lo mise in mostra al National Football Museum a Preston.
Quanto alla coppa Rimet originale come dichiarato in seguito, era composta da un chilo e ottocento grammi di argento e solo placcata in oro. Ciò si evince anche da alcune foto dove si vede che lo strato esterno aureo assottigliato, lascia trasparire il sottostante corpo in argento massiccio. Forse fu questo il motivo che indusse il ladro di Londra ad abbandonare l’oggetto una volta resosi conto che l’oggetto non era in oro massiccio, che non valeva il rischio e che poteva trattarsi di un falso creato per l’occasione della mostra. Dunque un valore effettivo molto ridimensionato, una verità che sconfessa l’atto della fusione in lingotti da parte dei brasiliani. La storia della fusione fu un sistema per porre fine alla caccia alla coppa che diversamente non sarebbe mai terminata. Juan Carlos Hernandes l’Argentino trafficante, sostiene che la coppa si trovi in Italia, paese da dove arrivò la commissione da parte di un miliardario per il furto di Rio de Janeiro del 1983.
Insomma il giallo della coppa Rimet è di un tono speciale, un giallo oro e pare abbia portato disgrazia a tutti coloro che in qualche modo hanno avuto una parte in questa intrigata storia. Molte morti inspiegabili, misteriose e premature, a partire proprio da quella del cagnolino Pickles, strangolato dal proprio guinzaglio mentre inseguiva un gatto.
Bret Sinclair
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