San Catello aveva un Anello.

A Napoli e dintorni ancora oggi si raccontano storie. Storie nuove e meno recenti anche vecchie, a volte tanto vecchie da risultare nuove perché dimenticate. Tutti noi nati lo scorso secolo, siamo sempre molto attenti ai “Fattarielli” tramandati oralmente, forse perché particolarmente vulnerabili. Il rischio che cadano nell’oblìo ci impone l’onere e l’onore di rispolverarli di tanto intanto, nella speranza che qualche millenial, tra una chat, un selfie e una App, ne acquisisca almeno una parte per poterli tramandare ancora.
Il clima socio politico poi, non invoglia nemmeno a parlare d’altro, anche se ci sarebbe molto da dire e da fare. Ma pare che il destino dei vecchi stili di vita, quelli che ci hanno fatto crescere bene e con sani principi, siano destinati ad essere soppiantati da abitudini e concezioni a dir poco folli, che però sono appoggiate dal Mainstream e dunque vincenti.
Molti di voi certamente conoscono la storia dell’anello di San Catello. Io nonostante i miei 50 e passa, l’ho sentita per la prima volta solo da qualche giorno. Mi ha colpito nella sua originalità e voglio raccontarla a tutti coloro che come me, la ignorano a tutt’oggi.
Bisogna risalire molto indietro negli anni, probabilmente al tardo Medio Evo, anni difficili quasi come quelli attuali, ma per altri versi. Un anno in particolare ci fu una carestia dovuta alla perdita dei raccolti per le ostilità climatiche che furono particolarmente avverse alla raccolta del grano. La popolazione non aveva di che alimentarsi, si prospettava un anno di fame e di stenti. Presi dalla disperazione, gli Stabiesi si rivolsero in preghiera al Santo Patrono.
Si racconta che qualche giorno dopo, un vecchietto con una folta barba bianca che si trovava su una barca al largo del porto di Castellammare, incrociò una nave carica di grano destinato alla Spagna. Non si sa come, il vecchietto riuscì a fermare il natante molto più grande della sua barchetta, salire a bordo e intrattenere una conversazione con il Capitano. Gli descrisse la condizione di Castellammare in quell’anno e gli propose di vendere tutto il grano che aveva a bordo, anzicchè agli spagnoli, alla città di Castellammare che versava in una crisi alimentare mai vista prima e che sarebbe stato ben ricompensato qualora avesse salvato il Paese, con un atto generoso ma anche conveniente per lui. Riuscì a convincerlo e per assicurarsi che il Capitano non cambiasse idea, il vecchietto si sfilò un anello che aveva al dito e glielo offrì in pegno.
Il giorno stesso la nave attraccò al porticciolo dell’Acqua della Madonna, il grano fu tutto venduto ad un prezzo anche maggiorato, facendo guadagnare una piccola fortuna al Capitano, il quale entusiasta, chiese del vecchietto per ringraziarlo. Nessuno seppe dargli informazioni a riguardo, pare che nessuno lo conoscesse. 
Prima di partire, l’intero equipaggio approfittò della sosta imprevista in quel di Castellammare, per recarsi nella Cattedrale per le orazioni alle quali nessun uomo di mare si sottrae prima di intraprendere un viaggio. Una volta entrato nella Cattedrale, alla vista della statua di San Catello, il Capitano impallidì e mostrando col dito l’immagine del Santo esclamò: “E’ lui, è lui”. Il volto del Santo, la barba e la struttura fisica figuranti dalla statua, corrispondevano perfettamente al vecchietto della barca. All’affermazione del Capitano, il Vescovo ebbe un cenno di sorriso e gli spiegò che il Santo rappresentato dalla statua era vissuto più di mille anni prima e che pertanto non era possibile, nonostante la somiglianza. Ma il Vescovo, spiegando questo al Capitano, si accorse anche che dal dito del Santo mancava l’anello che vi era sempre stato e gridò “Sacrilegio, Al ladro”. Ma intanto si fece avanti il capitano mostrandogli l’anello che il vecchietto gli consegnò in pegno. A quel punto tutti riconobbero l’oggetto che da sempre faceva parte dell’abbigliamento del Santo e che il Capitano ovviamente restituì al legittimo proprietario.
Quell’episodio fu la prova lampante che il Santo ancora una volta, aveva intercesso in favore del proprio Popolo. Tutti gli Stabiesi riconobbero il Miracolo e insieme al Capitano della nave e dei suoi marinai, si inginocchiarono ai piedi di San Catello abbandonandosi a lacrime di gioia, ringraziamento e devozione.
San Catello quell’anno salvò la sua Castellammare dalla carestia.
Ovviamente è solo una storia, una leggenda nata probabilmente col solo scopo di rafforzare la Fede nel Santo Patrono. Devo dire che se paragonata a tutte le bufale che a migliaia, ogni giorno ci vengono somministrate solo per indurci a pensare nel modo che più conviene ai nostri burattinai, io preferisco tutta la vita una storiella antica tramandata a voce. Una leggenda che nella sua semplicità contiene tutta la saggezza popolana, quella saggezza che i giovani spesso eludono, sottovalutano e scherniscono ma dalla quale potrebbero arricchirsi nell’animo, un’animo quotidianamente minato dai bombardamento mediatici tesi a svuotarli del tutto.





Nonno Lello

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