I Versetti Scomodi di Pasquino.




A Roma esiste una statua di grezza fattura, un frammento di un'opera in stile ellenistico, risalente probabilmente al III secolo a.C., danneggiata nel volto e mutilata degli arti, rappresentante forse un guerriero greco oppure un gruppo di due guerrieri, l'uno che sorregge l'altro. È probabile che si tratti del frammento di un gruppo dello scultore Antigonos raffigurante Menelao che sostiene il corpo di Patroclo morente, del quale esistono numerose repliche, tra cui una pressoché completa in marmo conservata nella Loggia dei Lanzi a Firenze. Si trova in Piazza Pasquino,nei pressi di Piazza Navona.
Divenne nota alle cronache tra il 1400 e il 1500, durante il periodo del Potere temporale del Papa per essere diventato il monumento sul quale venivano affissi nottetempo, cartelli con satire scritte in versi tese a screditare la figura del Potentato di allora, Il Papa. Tali versi irriverenti e imbarazzanti per la Chiesa erano di colta fattura, pungenti e graffianti, partoriti da una penna dissacrante e liberista. Le guardie di buon mattino rimuovevano puntualmente gli imbarazzanti fogli penzolanti dal collo della statua di Pasquino “fu questo il nome affidatogli”, ma sovente troppo tardi, quando la maggior parte dei Romani avevano già letto le poche ma pesanti rime.  
Secondo alcuni, Pasquino sarebbe stato un personaggio del rione noto per i suoi versi satirici: forse un barbiere, un fabbro, un sarto o un calzolaio. Secondo Teofilo Folengo mastro Pasquino sarebbe stato un ristoratore che conduceva il suo esercizio nella piazzetta. Un'ipotesi recente sostiene invece che fosse il nome di un docente di grammatica latina di una vicina scuola, i cui studenti vi avrebbero notato delle rassomiglianze fisiche: sarebbero stati questi a lasciare per goliardia i primi fogli satirici. Se Pasquino fosse un personaggio odierno potremmo paragonarlo ad un “Julian Assange” o a un giornalista autonomo, ma tanto libero da dovere lavorare in anonimato. La statua di Pasquino fu il precursore della TV e proprio come la TV, dopo un periodo di pura denuncia del Papato, venne utilizzato per propaganda, screditando i contendenti di una fazione a beneficio di altri. La TV libera si trasformò nella TV dei Partiti.
Diede realmente del filo da torcere ai vari Papi che si succedettero, al punto che Adriano VI ordinò di buttarla nel fiume, poi sconsigliato perché il provvedimento, oltre che inutile, avrebbe fatto infuriare oltremodo il Popolo. Dopo di lui Sisto V e Clemente VIII ebbero la stessa idea, sempre bocciata dalla Curia per motivi analoghi. Una Pasquinata delle più oltraggiose recita così: "Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini" ("Ciò che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini"). La frase, faceva riferimento al prelievo del bronzo contenuto nelle travature della trabeazione del Pantheon, che Urbano VIII commissionò al Bernini per la costruzione del monumentale baldacchino conservato al centro della Basilica di San Pietro in Vaticano.
Le Pasquinate non risparmiarono neppure Napoleone, «Marforio: “È vero che i francesi sono tutti ladri?” / Pasquino: “Tutti no, ma BonaParte!”».
O alle contese per il talamo di Maria Giovanna de’ Medici tra il di lei marito, il principe Sigismondo Chigi, e il cardinale Filippo Carandini che con le sue attenzioni per la donna s’era tirato addosso le ire del cornuto (vero o presunto) fino a spingerlo ad avvelenare il rivale. Avvelenamento fallito e seguito da un clamoroso processo e dalla fuga: «Se Carandini non sfuggia al veleno/ ed al capestro non sfuggiva Chigi,/ due malfattori vi sarian di meno».



Basti citare le pasquinate su Olimpia Maidalchini, meglio nota come Donna Olimpia Pamphilj, detta «la Pimpaccia», donna ambiziosissima e traffichina che riuscì a imporsi come «la Papessa» al fianco di Innocenzo X: «Olimpia: Olim pia, nunc impia», Olimpia, un tempo pia: ora empia. Amante delle belle arti, oltre che del lusso e del potere, fu in qualche modo la «madrina» della scelta del papa di affidare a Lorenzo Bernini la realizzazione della Fontana dei Quattro Fiumi sovrastata dall’obelisco di Diocleziano. Opera meravigliosa ma, a leggere certi sfoghi sui muri, contestatissima dal popolino: «Noi volemo altro che guglie e fontane:/ pane volemo, pane, pane, pane!». Invettiva successivamente «ritoccata» da Pasquino: «Santo Padre non più puttane!/ Pane, pane, pane, pane!». Un odio che si sarebbe tradotto al decesso di Innocenzo in nuove maledizioni: «È morto il pastore,/ la vacca ci resta;/ facciamole ‘a festa,/ cavatele il core./ È morto il pastore». Nessuna pietà. E nessun riguardo per la figura, spesso ammaccata, di tanti figuri saliti al soglio pontificio. Dice tutto la pasquinata su Pio VI, messo sullo stesso piano di Alessandro VI: «Per raggiro di nobile ruffiana,/ primo ministro eletto fu di Stato;/ otre di vino, Apicio effeminato,/ disonor della porpora romana./ Senna tripudi e al nuovo candidato/ cittadinanza invii repubblicana./ Ma Pietro esclama, pensieroso e mesto:/ Povera Roma in braccio a un altro Sesto!».
L’epoca d’oro, però, resta quella a cavallo tra Cinquecento e Settecento. Quando lo sberleffo più irrispettoso si spinse al punto di costare il collo a Niccolò Franco, scrittore e avventuriero beneventano, segretario di Pietro Aretino, che dopo una serie di pasquinate contro il cardinale Carlo Carafa fu impiccato a Castel Sant’Angelo per aver passato ogni limite in un cartello affisso a una latrina fatta fare dal Papa: «Pio V, avendo compassione/ per tutto quel che si ha sullo stomaco/ eresse come opera nobile questo cacatoio». Troppo anche per una satira dove la volgarità era assai diffusa. E in qualche modo tollerata.
Nel XVII secolo le Pasquinate si diffusero ance in altre città, come Firenze o Venezia. Ovviamente gli autori a Roma come nelle altre città furono numerosi. Gli scritti di Pasquino furono solo i primi, quelli che poi dettarono la moda, una moda che non è mai tramontata del tutto. Ricordiamo i versi rivolti ad Hitler da parte di un anonimo Pasquino nel 1938, durante i preparativi per la visita di Hitler a Roma: «Povera Roma mia de travertino/ te sei vestita tutta de cartone/ pe’ fatte rimira’ da n’ imbianchino venuto da padrone!».
Il personaggio è talmente popolare a Roma, che Luigi Magni ci ha girato due film "Le notti di Pasquino" e "Nell'anno del Signore", entrambi magistralmente interpretati da Nino Manfredi.
Anche oggi i romani si dilettano ad affiggere manifesti di denuncia in via Pasquino. I manifesti e il falso «Osservatore Romano» scagliati contro Papa Francesco accusato d’esser troppo «aperto» e tirati in ballo qua e là come se ci fosse un filo rosso di collegamento con gli antichi sfoghi di «Pasquino» sia chiaro, sono un’altra faccenda. In comune hanno solo l’anonimato e qualche parola in romanesco.
Quando il Popolo non ci sta a fare da cuscinetto ammortizzatore ai Potentati, a pagare sempre i conti delle vite lussuose che i Governanti vivono immeritatamente sulle nostre spalle e sapendo che i Potenti hanno sempre un esercito organizzato in loro difesa, si inventa un metodo di denuncia alternativo che quanto meno imbarazzi l'establishment. Se poi gli stessi sistemi vengono utilizzati ribaltandoli, a fini propagandistici, allora il Pasquino che c’è in noi deve fare gli straordinari, lavorare ininterrottamente all' elaborazione di sistemi sempre diversi di comunicazione criptata, dal momento che in quanto tali, non si prestano ad un eventuale brevetto.

Brett Sinclair

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