Castellammare il mito di Onna Sciurella



Era il Martedì il giorno dedicato a Sant’Antonio da Padova. A Castellammare di Stabia, ridente cittadina affacciata sul Golfo di Napoli, c’era una chiesetta dedicata al Santo, una chiesetta molto particolare, dove i fedeli si recavano per omaggiare e pregare.
Questa risiedeva al terzo piano di uno stabile civile situato in Via San Bartolomeo 72, nel centro storico della città, proprio alle spalle del porto. Un palazzo che trasudava di antico, con scalini di pietra nera molto alti, che alle mie piccole gambe lo sembravano ancora di più, essendo appena uno “scugnizziello”. Ma il palazzo di Sant’Antonio, per quanto antico era dotato di ascensore per fortuna. Mia nonna e poi anche mia madre mi trascinavano a quello che era un rito che si riproponeva a scadenza settimanale. Di fianco al portone c’era un panificio che emanava un odore ubriacante di pane e di spezie. Era il panificio “Astarita”, che proponeva tra l’altro dei piccoli panini semidolci simili a Bon Bon, la nota positiva consisteva nella sosta obbligata per la degustazione estemporanea, ma ne compravamo anche per tenerne a casa una piccola scorta, in quanto si mantenevano bene per 2-3 giorni. Quegli stessi panini, il giorno della festa nazionale di Sant’Antonio il 13 Giugno, venivano distribuiti “Benedetti” dalla chiesa del terzo piano. Ma anche se benedetti erano buoni lo stesso, bastava fare il segno della croce prima di mangiarli.
L’oratorio nacque dal progetto di un gruppo di cinque giovincelle nei primi anni del primo dopoguerra. Una di queste in particolare, la signorina Maria Fiorella Longobardi, figlia di Catello e Lucia Montuori, che abitava al terzo piano dello stabile in via San Bartolomeo, sorella di altre tre del gruppetto, ebbe l’idea di adibire parte della sua abitazione e precisamente la camera da letto, ad oratorio. In seguito divenne anche mensa per i poveri e un riferimento per gli stabiesi meno fortunati. Quando le sue sorelle e l’altra amica presero marito, Maria Fiorella volle continuare l’opera di preghiera e di carità che altrimenti, in conseguenza agli impegni matrimoniali, sarebbe naufragata. Maria Fiorella rinunciò al matrimonio e alla famiglia pur di continuare l’opera caritatevole, divenendo poi “Onna Sciurella” amorevolmente ribattezzata dai fedeli e dai frequentatori della mensa. Coadiuvata da un quinto fratello sacerdote, tale Mons. Catello Longobardi, l’opera ebbe ad ingrandirsi in intensità e autorevolezza. Divenne ben presto la vera e propria chiesa che noi stabiesi conosciamo, con un altare (anche se piccolo), il suo tabernacolo e le panche con inginocchiatoio ordinate in fila di due. I giorni di Messa il locale era stracolmo, l’aria viziata e una parte di fedeli rimanevano nel corridoio poiché non vi era posto per tutti. Onna Sciurella, grazie al suo filo diretto col Santo, riuscì a coinvolgere molti stabiesi in un’opera di volontariato, che per l’epoca era un’impresa notevole. C’era chi portava cibo e chi cuciva abiti per poi ridistribuire il tutto ai poveri, tramite l’oratorio. Ma si occupava soprattutto di anime Onna Sciurella. Per ognuno che le si rivolgeva aveva una parola di conforto, uno spiraglio di luce in un periodo tra i più bui della storia recente. Disponibile con tutti, si raccontano anche veri e propri miracoli avvenuti grazie al Santo o alla sua intercessione, grazie anche all’Olio Santo, che Onna Sciurella usava distribuire in batuffoli di ovatta intrisi e contenuti in una carta cerata. Olio che dispensava sulla fronte di ragazzi che dovevano sostenere gli esami, accompagnato alla preghiera che essa stessa aveva coniato “…e ppo Santo responsorio, rifunn a’ scienza, Sant’Antò” . Per lei il Santo era come un fratello al quale si rivolgeva con disinvoltura anche se con il dovuto rispetto e frasi come “Zellù, falle à grazia” erano frequenti così come le litanie in napoletano e latino maccheronico.
Il Venerdi 22 Novembre 1968, Onna Sciurella “andò a purtà ò pesone a ò padrone è casa”, come recita la pagellina del trigesimo della morte.


Non credo di averla mai personalmente conosciuta, nel 68 avevo 6 anni ma i pellegrinaggi settimanali li ricordo bene. All’entrata si parava un muro stracolmo di figurine votive in argento, tra le quali ricordo in particolare un casco da motociclista spaccato, probabilmente di un incidentato scampato miracolosamente alla morte; In basso vi era il candeliere votivo.
Mia madre era solita inserire 100 lire nella cassetta e dunque accendere un cero (operazione che orgogliosamente effettuavo io), dopo di che si attraversava il corridoio per accedere alla chiesetta. Io la accompagnavo ma poi uscivo per affacciarmi alla balconata interna mentre lei pregava. Ricordo che quasi sempre, il cero acceso poco prima da mia madre veniva spento e rimesso in vendita tra quelli ancora nuovi nel distributore. Io ero curioso per natura e cominciai ad indagare per risolvere il mistero. Presidiavo l’entrata, mi nascondevo, finche un giorno vidi una figura che furtivamente spegneva tre candele, le meno consumate, puliva lo stoppino con le forbici e le rimetteva in vendita. Si trattava del Parroco, don Antonio. Un brutto ceffo che coadiuvava le figure laiche nei primi anni 70. Il personaggio non mi era mai piaciuto ma solo per caratteristiche antropologiche, aveva una faccia cattiva per quelli che erano gli standard di giudizio di un bambino.
Riferii la cosa a mia madre, la quale non mi credette, anche se vidi rifare la stessa operazione da una vecchietta che era sempre lì, non so chi fosse.
Un giorno don Antonio distribuì coroncine ai fedeli, i quali ovviamente ricambiavano con un’offerta. Io, mia madre e mia nonna quel giorno entrammo in sagrestia per ricevere l’omaggio. Il prete ci consegnò 4 coroncine e mia madre lo omaggiò di mille lire. Alla vista del bigliettino da 1000 questi sbottò malamente e rivolgendosi alle mie parenti fece presente che l’offerta non copriva nemmeno i costi dei gadget e che dunque dovevano versare ulteriori spiccioli.
Solo allora, in seguito a quella patetica scena, mia madre riconobbe veritiera la storiella delle candele che le raccontai. “Allora aveva ragione ò uaglione” disse, “stu prevete è nu filibustiere”.
Nonostante la discendenza da una famiglia molto cattolica, sono maturato ateo anche se la storia di Onna Sciurella va al di là del credere o no, oltre il folklore, è qualcosa di più grande. Nella mia vita ho visto anime buone come Onna Sciurella e meschine come Don Antonio convivere sotto lo stesso tetto, con animo e intenzioni totalmente opposte. Dove c’è del bene spesso c’è chi si avvicina solo per approfittarne, anche in realtà piccolissime seppure molto significative.


Brett Sinclair
Foto pubblicate da Archivio Plaitano


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