Maradona: Non avrò altro D 10 all'infuori di te

Qualche giorno fa Dani Alves, che già di per sé non è un campione di simpatia, oltre a indossare i colori bianconeri, il che certo non lo aiuta, si è fatto promotore di una serie di dichiarazioni infelici. Una di queste è la dichiarazione di superiorità di Leo Messi niente di meno che nei confronti di Maradona. “Leo ha vinto sei palloni d’oro e tre mondiali, Maradona non ne ha vinto nessuno e ha segnato un solo gol in nazionale e per giunta di mano”. Ne consegue che Messi è molto più forte di Maradona.
Ora è pur vero che la maggior parte dei calciatori salta puntualmente gli studi, rimanendo ignoranti e senza proprietà di linguaggio. Nel caso di Dani Alves, oltre alla cultura manca proprio il buon senso. Non ci vuole un genio per sapere che ai tempi di Diego il Pallone d’Oro non esisteva e che non è vero che ha segnato un solo gol e di mano ma 34 in nazionale. E’ la storia del calcio nella quale Maradona entra a pieno titolo ma evidentemente lo sbruffone della Juventus non si è preso la briga di studiare nemmeno quella.

Per chi come me è cresciuto nella curva B del San Paolo a pane e Maradona, certe dichiarazioni fanno un certo effetto. Non è stato uno stinco di santo, era ed è un impulsivo e si fece nemici ingombranti, ma lui era ed è uno spirito libero. I perbenisti radical chic e forcaioli amano ricordarlo quale tossicodipendente, eroinomane ma anche su questo devo spezzare una lancia a parziale discolpa del mio idolo. In seguito all’infortunio alla caviglia procuratogli da Andoni Goikoetxea Olaskoaga durante la partita Barcellona Vs Athletic Bilbao, Maradona nonostante il suo immenso impegno nella terapia di recupero, stentava a riabilitarsi, provava dolore, un dolore che non gli permetteva il rientro in campo anche se guarito. Per accelerare il suo rientro, in quanto player indispensabile alla squadra, a Maradona furono somministrate dosi da cavallo di antidolorifici oppiacei, cioè derivati dell’oppio. Questi gli procurarono dipendenza e già quando venne a Napoli aveva qualche problema in merito che poi risolse. Ma l’amcizia con il clan Giuliano e i fiumi di cocaina che giravano durante le cene offerte dal Boss, lo fecero ricadere nel tunnel della droga. Per certi versi era un debole, un ragazzo scanzonato e per niente scaltro. Lui amava solo un pallone, i vizi e la bella vita furono una disgrazia capitatagli a Napoli. Qualcosa verso cui non era preparato, il lato insidioso di Napoli. Ma anche con mille problemi Diego ci ha fatto sognare, ha ridato voce ad un popolo che l’aveva persa. Una squadra composta da un fuoriclasse, un certo Careca e altri nove mediocri che divennero campioni giocando con lui, che vinsero due Scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa e che diedero filo da torcere alle grandi d’Italia. Un folletto in mezzo al campo, un giocoliere, un prestigiatore. Con lui la palla prendeva traiettorie fisicamente impossibili, giocava a memoria e i suoi sembravano tiri da bigliardo anziché calci ad una palla. Giusto il ritiro della maglia n. 10, dopo di lui nessuno più, anche per il suo dimostrato attaccamento alla squadra e alla città. Diego è uno di noi, uno scugnizzo con la sua Napoli nel cuore e il portafogli nelle mani degli amici. Mai una parola fuori posto sulla città, eppure qualcuno del male gliene ha fatto, né ha mai ceduto alla corte di altri club più titolati e ricchi, come qualche altro argentino di nostra conoscenza o come altri campioni nati a Napoli, pensando a Ferrara e Cannavaro.
Per questi e tanti altri motivi di affetto e riverenza verso un dono della natura, frasi come quella pronunciata da un arrivista mercenario come Alves, per me non sono ammissibili. Leo Messi, bravo certo ma….n’atu vullo e po’ se coce.

Brett Sinclair

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