Dalla Colombia arriverà la terapia per il morbo di Alzheimer


C’è un villaggio in Colombia dove la percentuale di Morbo di Alzheimer è molto alta, molto più della media mondiale. Gli abitanti di questo villaggio si ammalano in età giovanissima, già intorno ai 40 anni e da molte generazioni, si parla di 2/3 secoli tanto che per gli indigeni il male ha anche un nome “ la bobera de los Piedrahita” bobera vuol dire stupidità. Il villaggio si trova a Liborina, a un centinaio di km da Medellin, nel dipartimento di Antioquia in Colombia Nord Occidentale. Un posto di difficile accesso, privo di strade e in pieno territorio dei narcotrafficanti.“La memoria se ne va molto in fretta e quello che sanno lo dimenticano subito” testimonia Ana, un’abitante del villaggio.
Se ne accorse circa 30 anni fa il dott. Francisco Lopera, un neurologo che pur di seguire quella che poi si rivelò una sua felice intuizione, rinunciò ad una brillante carriera in Belgio. Del morbo di Alzheimer si sapeva solo che era una malattia neurodegenerativa, progressiva ma non contagiosa.
Essendo una comunità chiusa, il dott. Lopera intuì che un’incidenza così marcata e una forma così aggressiva doveva necessariamente spiegarsi con la trasmissione genetica. Cominciò dunque a tracciare un registro risalente alle precedenti generazioni, arrivando fino a circa 300 anni fa, quando un gruppo di europei si stabilì nel villaggio, apportando evidentemente la mutazione genetica che rimbalza da allora tra i pochi abitanti della Comunità.
Seppure con le enormi difficoltà dovute all’asperità del territorio, gli eserciti della FARC e negli anni 80 un certo Pablo Escobar, oltre alla naturale diffidenza della Comunità scientifica internazionale verso i Paesi del Centro America, oggi gli studi del dott. Lopera sono ampiamente riconosciuti e costituiscono di fatto l’ultima frontiera della lotta contro l’Alzheimer. Grazie al contributo di vari istituti di ricerca americani ed europei, si è riusciti ad isolare un gene, il presenilin 1, o Psen1 (che risiede sul cromosoma 21 e non sul 14 dove gli scienziati americani pensavano di trovare qualcosa di simile) che codifica per una proteina, la amiloide beta che è causa dei depositi della stessa e che in seguito a diverse interazioni è poi causa della distruzione progressiva del tessuto nervoso. I portatori di tale gene, hanno il 50% di probabilità di trasmetterlo ai figli, per questo motivo il villaggio di Piedrahita rappresenta un laboratorio unico al mondo per lo studio di tale patologia. Gli oltre 5.000 pazienti del villaggio e delle montagne che circondano Medellin, inoltre sono molto collaborativi perché vedono nella scienza l’ultimo barlume di speranza per sconfiggere un male che li affligge da 300 anni.
Un’ altra conquista è stata la preparazione di test ematico approntato all’Università di Barranquilla, che permette di scoprire i portatori della tara genetica ed intervenire anni prima della comparsa dei sintomi. Laddove la terapia a base di un farmaco che avrebbe dovuto contrastare la produzione di beta amiloide in fase avanzata si è dimostrato quasi totalmente inefficace, si ritiene che iniziando tale terapia 20 anni prima dell’insorgere del male, si potrebbe contenerne l’evoluzione, rallentandola fino alla quasi scomparsa. L’ingegneria genetica inoltre, una volta individuato il gene responsabile può offrire una ulteriore risposta veicolata. Il prof. Lopera prevede la conclusione degli studi sperimentali entro il 2020, data che potrebbe dare una svolta significativa e una concreta speranza per quasi 47 milioni di malati nel Mondo.



Brett Sinclair

Da: Scientific American




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